Sono passati esattamente due anni dalla scomparsa di Aaron Swartz. Questo post non vuole essere un riassunto della sua vita o della vicenda giudiziaria che l’ha coinvolto e spinto al suicidio; chi non conoscesse la vicenda di Aaron può consultare l’ottima pagina di Wikipedia e, magari, vedere il documentario sulla sua vita (“The Internet’s own boy”), uscito l’anno scorso.
L’esigenza di non dimenticare una personalità di questo calibro, ma soprattutto di spiegare perché è importante farlo, era già stata avvertita dalla redazione di Wired.it, che l’anno scorso aveva pubblicato questo post in cui elencava 10 ragioni per ricordare il giovane hacker statunitense. Il post elencava le invenzioni (a cominciare dal feed RSS) e le battaglie civiche condotte da Aaron; in questa sede, invece, l’intenzione è quella di (provare a) raccontare-a partire dalle sue stesse parole- la sua visione generale del mondo e della vita. Nella speranza di contribuire a diffonderne il pensiero.
STUDIARE UN SISTEMA PER CAMBIARLO DA DENTRO
Cominciai a leggere libri sulla storia della didattica e lo sviluppo di questo sistema educativo, e quali fossero le alternative a questo sistema e i modi per poter davvero imparare qualcosa, piuttosto che rigurgitare semplicemente le nozioni raccontate dagli insegnanti. E così arrivai a mettere in discussione le cose; una volta messa in discussione la scuola che frequentavo ho messo in discussione la società che aveva costruito la scuola, ho messo in discussione le aziende per cui le scuole preparavano; e poi ho messo in discussione lo Stato che ha creato quest’intera struttura.
In quest’estratto di intervista tornano alla mente le parole scritte nel 1986 in un altro testo di riferimento del mondo hacker “La coscienza di un hacker” (meglio noto come “Manifesto hacker“). In entrambi i casi si tratta di sfoghi contro un sistema scolastico incapace di valorizzare i migliori, con insegnanti svogliati e poco competenti; e mentre The Mentor (l’autore del celebre Manifesto) reagiva a questa situazione rifugiandosi nel “mondo dell’elettrone e dello switch” (questo mondo definito “rifugio dalle incompetenze [altrui] quotidiane, in cui conosceva tutti pur non avendo mai incontrato di persona nessuno), Swartz dimostra un approccio diverso.
Se un sistema non ci piace, impegnarsi a cambiarlo è un dovere morale. Ma -ed è questo il punto fondamentale- non si può pensare di cambiare un sistema senza prima averlo studiato a fondo, senza essersi documentati e aver indagato tutti gli aspetti di un problema.
Una considerazione che potrebbe sembrare a prima vista scontata, ma che a ben guardare non lo è affatto, nella società contemporanea. Oggi, infatti, in conseguenza di una gestione disastrosa della cosa pubblica da parte delle classi dirigenti degli ultimi anni, con conseguente sfiducia progressiva nelle Istituzioni, si è andata rafforzando l’idea che l’istruzione, la preparazione e la conoscenza anche accademica di un determinato argomento siano irrilevanti. Il diritto di parola per tutti viene confuso con la pretesa di chiunque di pontificare su qualsivoglia argomento, indipendentemente dalla conoscenza che se ne ha. Il pensiero di molti è che se i problemi non li hanno saputi risolvere i “professoroni”, forse vuol dire che la cultura non serve; anzi, magari un ignorante saprebbe -lui sì- trovare soluzioni rapide ed efficaci. E’ il mito della casalinga che, in virtù della sua capacità di far quadrare il bilancio familiare, dovrebbe di conseguenza essere in grado anche di dirigere l’economia d’una nazione intera. Un’idea, questa, che certa politica è ben lieta d’incoraggiare e sponsorizzare, in quanto foriera di molti voti; perché dopotutto anche gli incolti votano, sono più numerosi dei dotti e provano una naturale simpatia per chi li blandisce.
Il Professor Fabrizio Tonello, nel suo saggio “L’età dell’ignoranza“, pubblicato con Mondadori ad aprile del 2012, aveva intitolato il secondo capitolo “Manifesti dell’anti-intellettualismo”, e citava, a pag.21, la descrizione fatta da Umberto Eco di un noto conduttore televisivo da poco scomparso:
(…)non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla (…)
Una descrizione riferita ad un personaggio dello spettacolo, ma che sembra adattarsi in maniera inquietante non solo a diversi politici contemporanei, ma in senso lato al cittadino medio. Che sempre più spesso tende a documentasi e informarsi il meno possibile.
Per questo è importante la lezione di Aaron. L’invito che Swartz rivolgeva era di carattere opposto.
Sii curioso. Leggi molto. Prova cose nuove. Penso che ciò che le persone chiamano “intelligenza” si riduca a curiosità.
Per “sconfiggere il sistema” (cioè -in questo caso- per migliorare la società in cui viviamo) occorre conoscere il sistema stesso a fondo. Talmente a fondo da riuscire a individuarne i “bug”, le falle in cui potersi incuneare per “scalarlo”. Il che, in fin dei conti, altro non è che la traduzioen metaforica di ciò che fà solitamente un hacker: intraprendere una sfida col sistema (operativo, in questo caso). Una sfida che egli (o ella) sa di poter vincere solo spremendosi le meningi e dimostrandosi più astuto dell’Admin.
Urlare contro il monitor o la tastiera non è solitamente d’aiuto.