In questi ultimi giorni uno dei più importanti hot topic a livello mondiale è senz’altro l’annuncio della candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti da parte di Hilary Clinton.
Uno degli elementi che è subito parso chiaro dal suo video promozionale è il fatto che l’attuale senatrice punterà, per vincere le elezioni e diventare il primo Presidente donna della storia statunitense, a dar voce a tutte le cosiddette “minoranze” (afro, asiatici, latini, ma anche coppie omosessuali e, in generale, chiunque non rientri nello stereotipo del maschio-bianco-etero-patriota che tanto piace ai suoi avversari).
In quest’ottica assume particolare significato una notizia riportata da Imprimalia3D; una coppia di simpatizzanti del Partito Democratico, Jason Feinberg e Alyssa Zeller, hanno creato una action-figure (anzi: una Ready-for-action figure, come recita il brillante slogan che campeggia sul sito della loro impresa) stampata in 3D della Clinton, per sostenerne la corsa.
Al di là dell’ovvia considerazione che si tratta senz’altro di un’iniziativa dettata anche da ragioni di possibile (anzi: probabile) guadagno, è significativo il fatto che la stessa coppia aveva realizzato, nel 2008, un’analoga action-figure di Obama.
E, se da un lato ciò dimostra che le opinioni politiche della coppia erano tali già da prima che Obama cominciasse il suo mandato, è altrettanto vero che, negli anni di governo, l’attuale Presidente ha mostrato un vivo interesse per il movimento Maker, in molte occasioni.
Lo scorso anno, nel mese di giugno, la Casa Bianca ospitò un’edizione speciale della Maker Faire, e qualche mese più tardi Obama ricevette un busto stampato in 3D.

Sul sito ufficiale della Casa Bianca c’è addirittura una pagina dedicata, chiamata A nation of Makers, in cui campeggia un appello che, tanto nel lessico quanto nei contenuti, merita attenzione:
Democratizzare gli strumenti e le competenze necessarie a realizzare pressoché qualunque cosa significa mettere le persone nelle condizioni di intraprendere una carriera nel mondo del design, della manifattura e nei relativi campi delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), nonché la possibilità di portare le proprie creazioni al livello successivo, diventando imprenditori.
Un piccolo capolavoro di comunicazione politica, perché in poche righe riesce a far leva su tutti i temi più cari all’americano medio:
- Patriottismo. Il titolo è “Una Nazione di Makers”. La stampa 3D e le altre tecnologie care ai Makers vengono subito presentate come qualcosa in grado di far progredire la Nazione intera, prima ancora che i singoli individui (ai quali viene comunque riservato ampio spazio, vd. sotto). Poche sotto, nella stessa pagina, c’è del resto un trafiletto descrittivo del movimento Maker, che recita, alla prima riga: “L’America è sempre stata una terra di pensatori, inventori e imprenditori”.
- Democrazia. Non è un caso che democratizing sia la parola che apre il testo. E’ noto che gli Stati Uniti si auto-considerino la miglior democrazia al mondo, e pertanto presentare la stampa 3D etc. come macchine in grado di rendere ancor più democratica -e dunque migliore- la società significa nobilitarle, considerarle come un qualcosa che “è tipico degli USA”.
- Self-made-man. Il mito della Nazione che dà una possibilità a tutti, permettendo all’individuo di realizzarsi da solo. Grazie alla stampa 3D e alle altre macchie a controllo numerico anche l’americano medio può mettersi a produrre e realizzare il proprio business.
Il messaggio sotteso, dunque, sembra il seguente: questa Terza Rivoluzione Industriale è merito degli Statunitensi (da sempre popolo d’inventori), che, animati dal loro indomabile amore per la Libertà e la Democrazia, hanno saputo creare delle macchine in grado di trasformare chiunque in un Maker.
Pazienza se la diffusione della stampa 3D è in gran parte legata al progetto RepRap, portato avanti da due inglesi in un’Università Pubblica inglese; e sorvoliamo anche sul fatto che uno dei fattori più importanti di questa Rivoluzione sia l’utilizzo di software e hardware libero, nonché l’adozione di modelli di business di tipo Open Source (agli antipodi di quelli tradizionali e tipici del liberismo USA, basato su brevetti, marchi e copyright).
Seppur con queste evidenti “sfumature” nella narrazione, Obama ha senz’altro avuto il merito di far sì che il movimento Maker avesse un notevole risalto mediatico. Per non parlare, poi, dei cospicui stanziamenti di fondi pubblici a sostegno degli hubs tecnologici.
Una storia, questa, che dimostra quanto sia importante il cosiddetto “story-telling”, ossia la capacità di “contestualizzare” ciò che avviene nel Paese, inserendolo in una narrazione più ampia e rendendolo popolare.
Un qualcosa che, ci auguriamo, possa ben presto vedersi anche al di fuori degli USA.